Quando l’architettura della benzina incontra il design
Benzina e architettura, lo sappiamo, sono una coppia inscindibile. Ma cosa succede quando una compagnia decide di chiamare una “archistar” per le sue stazioni?
Alla metà degli anni ’60, la Mobil decise di avviare un importante piano di restyling aziendale; la parola d’ordine era rilanciare la compagnia in tutto il mondo, e soprattutto uniformare l’immagine della società nei vari paesi, in modo che le sue stazioni di servizio e i suoi prodotti fossero immediatamente riconoscibili.
Nel 1966 la vecchia “Socony Mobil” venne ribattezzata “Mobil Oil Corporation”, e già nel 1964 fu realizzato un nuovo, iconico logo, che andava ad affiancarsi al pegaso degli anni ’30. Per la progettazione del nuovo marchio, caratterizzato dai colori aziendali blu, rosso e bianco, fu scelto lo studio di design Chermayeff & Geismar, autore tra gli altri anche del logo del National Geographic e della NBC.

Altrettanto importante il restyling degli impianti, che avrebbe portato ad un radicale cambiamento negli impianti di tutto il mondo.
All’insegna della rotondità!
Per creare un’immagine nuova e, soprattutto, omogenea delle sue stazioni di servizio, la Mobil si avvalse dell’opera di un grande architetto: Eliot Noyes. Il designer e progettista americano non si limitò a ridisegnare completamente la struttura degli impianti della compagnia, ma volle creare tutto un contesto armonioso e coerente, pensando anche alla forma dei distributori.
Fu così che nacquero le celeberrime stazioni “Pegasus”, caratterizzate da un’inedita architettura tonda delle pensiline, cui facevano da corredo pompe, espositori e armadietti anch’essi rigorosamente cilindrici.
Le prime “Circle Stations” fecero la loro comparsa nel 1967, e sarebbero diventate per decenni il marchio inconfondibile della Mobil in tutto il mondo.
Le stazioni erano pensate sia per “l’abbellimento” delle strade, sia per garantire un’ottima “efficienza operativa” (anche se, sotto quest’ultimo punto di vista, il risultato non fu del tutto soddisfacente). Le pensiline circolari, realizzate in plastica e acciaio, dovevano servire per riparare da sole e pioggia e per garantire un’efficace illuminazione notturna. L’unico simbolo “commerciale” apposto sull’edificio vero e proprio era il pegaso rosso; la rotondità stessa della stazione sarebbe stata sufficiente a identificare l’impianto.
Secondo Noyes, “la ripetizione del design circolare armonizza i vari pezzi dell’equipaggiamento, e la zona del rifornimento diventa il punto focale dell’attenzione del cliente”. Tale architettura, inoltre, era pensata per “aiutare gli automobilisti a riconoscere rapidamente l’impianto come una stazione Mobil”.
Secondo il vice-presidente della compagnia, Harry J. Peckheiser, le nuove stazioni costituivano un passo avanti verso l’innovazione, riuscendo a coniugare l’esigenza del bello con l’efficienza del servizio.
Esse, insomma, rappresentavano concetti nuovi e creativi che simboleggiavano in pieno una compagnia che guardava con fiducia verso l’avvenire. Sarà un caso (o forse no!), ma proprio in quegli anni il pegaso Mobil si “girò” da sinistra verso destra: il lato in cui, su una linea del tempo, è rappresentato il futuro (ma su questo cambio di “direzione” esistono anche ipotesi diverse).
Fermo restando il tema della rotondità, esistevano poi differenti opzioni di “personalizzazione” degli impianti a seconda delle esigenze dei gestori; lo si vede bene in un “catalogo” della Mobil italiana conservato al Museo Fisogni, che riporta planimetrie e costi delle varie soluzioni.
Non tutte le ciambelle riescono col buco…
Il progetto di Noyes fu sostanzialmente un successo: le sue stazioni tonde e le pompe cilindriche si diffusero in tutto il mondo, diventando un segno distintivo della Mobil per molti anni; la praticità del design, tuttavia, lasciò talvolta a desiderare, portando in alcuni casi a ripiegare su soluzioni più tradizionali.
Come ricorda Guido Fisogni, che lavorò a stretto contatto con la Mobil italiana negli anni ‘70 e ’80, “le pensiline tonde non erano molto pratiche. Quando pioveva non riparavano niente, e alla fine molti impianti ci costruirono sopra delle normali pensiline rettangolari. Erano belle, ma decisamente non funzionali”.
Ciononostante, si può senz’altro affermare quella di Noyes fu una ricerca di stile e personalità perfettamente riuscita, che riuscì a dare alla Mobil un volto nuovo, moderno e, indubbiamente, “bello”.
Marco Mocchetti