1914: Bici, auto e moto al battesimo del fuoco

La fine dell’800 e i primi anni del ‘900 videro una progressiva diffusione dei moderni mezzi di locomozione nati dalla rivoluzione industriale. In primis le biciclette, ma anche le nuovissime automobili e motociclette, grazie alle quali erano nate le prime pompe di carburante.

Anche se inizialmente erano considerati “mezzi sportivi” o da turismo, sin da subito ne erano apparse chiare anche le potenzialità belliche, che ben si sarebbero esplicate durante la Grande Guerra.

All’alba del conflitto mondiale, la bicicletta era già diffusissima in Europa, specialmente nei paesi più avanzati, e i vari governi decisero immediatamente di utilizzarla in campo bellico, assieme ai più moderni veicoli a motore.

L’almanacco del 1915 della Società Editoriale Italiana, stampato quando ancora l’Italia era neutrale, dà un interessante spaccato sull’utilizzo dei “mezzi sportivi in guerra”.

“Se gli sports del ciclismo e del motore – esordiva l’articolo – hanno avuto fino ad oggi una funzione” pacifica, tutto era improvvisamente cambiato quando un arciduca era stato assassinato a Sarajevo, scatenando un conflitto senza precedenti.

La bicicletta

Il mezzo più importante era senza dubbio “il velocipede”, la bicicletta appunto, il cui potenziale bellico era stato capito sin da subito dagli alti comandi. Esistevano, in Italia e altrove, dei “battaglioni ciclisti ed i volontari ciclisti”; lo scopo principale era quello di “esplorazione, data la loro grande mobilità e l’accessibilità in luoghi nei quali la cavalleria manovrerebbe difficilmente”. A questo, si univa la possibilità di effettuare rapide azioni mirate di combattimento.

Bersaglieri ciclisti nel 1917

Per un migliore utilizzo della bicicletta sul campo di battaglia (esattamente come per lo sport in tempo di pace) erano fondamentali l’allenamento e la preparazione fisica. “In altre parole, la trasformazione dello sport ciclistico in ciclismo da guerra è la integrazione di quell’esercizio corporale” applicato nelle “gare sulle piste e sulle strade”.

I mezzi in sé, ovviamente, erano “di fabbricazione speciale, ripiegabili, con gomme piene”, pesanti circa 20 kg.

La motocicletta

“Il massimo di rendimento nella locomozione” nel campo del motore a scoppio era invece fornito dalla motocicletta, tra cui spiccavano i modelli della tradatese Frera, oggi conservati nell’omonimo Museo cittadino; l’azienda di Tradate aveva infatti ricevuto le prime commesse militari nel 1908, e durante il conflitto fu il maggior fornitore del Regio Esercito di motociclette (oltre che di biciclette!).

Il Museo della Motocicletta Frera di Tradate

“Dopo d’avere servito per lunghi anni al grande turismo – spiegava l’annuario – oggi la motocicletta s’appresta a rappresentare in guerra una parte importantissima”.

Abbandonati gli “sports puri, dei quali la voluttà della velocità” costituiva “il fine unico dei costruttori e degli sportsman”, anche le due ruote motorizzate si apprestavano a debuttare sul campo di battaglia.

Sebbene il motociclismo sportivo non avesse “attecchito nella proporzione di quello ciclistico”, anche a causa della sua pericolosità, la motocicletta si rivelava importantissima per il “servizio rapidissimo di trasmissioni d’ordini, con veicoli piccoli, facilmente nascondibili e soprattutto dotati di grande velocità”.

Inoltre, un altro “uso modernissimo delle motociclette in tempo di guerra è quello di servire di sbarramento momentaneo, riunendo parecchie macchine e facendo uso delle mitragliatrici, i terribili piccoli cannoni a mitraglia” che tanto caratterizzarono il sanguinoso conflitto mondiale.

Un ulteriore utilizzo, infine, era come mezzo di soccorso per trasportare i feriti.

“Gli” automobili

Se la motocicletta poteva contare su una maggiore agilità, “l’automobilismo è lo sport che si è trasformato nell’ausiliario più potente in tempo di guerra”.

Un Fiat 15 ambulanza per il Regio Esercito (fonte: Wikipedia, at: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Fiat_15ter_Ambulance_2.jpg)

“Per lunghi anni questo trasporto fu considerato più adatto per le persone a fine turistico”, ma anche in questo caso l’automobile (che all’epoca era un sostantivo maschile!) dovette adattarsi, con la creazione di appositi veicoli studiati per l’utilizzo bellico e per i terreni impervi. Del resto, “le molteplici utilità” degli autoveicoli in campo militare erano state “intraviste immediatamente” sin dagli albori del motore a scoppio.

I maggiori utilizzi riguardavano il rapido “dislocamento delle truppe” e il “trasporto di materiali d’ogni genere”. Infatti, “la rapidità vertiginosa con cui dei reparti di truppe fresche possono essere condotti da una località all’altra” poteva decidere gli esiti di una battaglia, senza contare “l’opera esploratrice di automobili blindate o corazzate”.

Infine, “l’automobilismo in tempo di guerra serve al funzionamento dei parchi di aviazione”.

E l’aviazione?

Seppure presente, l’aviazione era assai meno sviluppata rispetto agli altri mezzi bellici, ed avrebbe conosciuto un impiego ottimale solamente nella Seconda Guerra Mondiale.

All’epoca, “la navigazione aerea è una nuova trasformazione dello sport turistico attraverso l’aria”; anche in questo caso, però, si erano già intuiti alcuni dei possibili “benefici durante una battaglia”.

In particolare, “l’uso principalissimo degli aeroplani in tempo di guerra è quello dell’esplorazione”. Se il bombardamento era già stato sperimentato dagli italiani nella guerra in Libia del 1911, si trattava di un aspetto ancora poco sfruttato; “ha un valore assai relativo – spiegava l’almanacco – l’efficienza dell’impiego di aeroplani come mezzo di offesa per lanciamento di bombe”.

In generale, dunque, “l’applicazione guerresca dell’aeroplano procura degli effetti difficilmente calcolabili”.

Un primitivo bombardamento aereo

Il dirigibile, invece, sembrava poter dare “qualcosa di più”, specialmente “dal lato offensivo”.

Particolarmente moderni erano gli aerostati tedeschi. Lo Zeppelin L1 ospitava “un equipaggio di 20 persone ed è munito di una o due mitragliatrici”; imbarcava “2300 chilogrammi di benzina e 200 di olio: pari a 20 ore di moto” e ad un’autonomia di 1500 km. La flotta di Amburgo, composta da 5 Zeppelin, poteva caricare “150 siluri oppure 150 bombe”, diventando un mezzo assai efficace per eventuali attività di bombardamento.

Tuttavia, “né i dirigibili né gli aeroplani hanno dimostrato di poter esercitare” un’azione decisiva. Sul campo pratico, infatti, anche i “raids degli Zeppelin” si erano dimostrati sostanzialmente inefficaci; ciò era dovuto sia agli alti rischi delle imprese, sia al fatto che “le bombe lanciate dall’alto non producono danni gravi”.

Insomma, a differenza dei mezzi di terra, l’aviazione rimase uno strumento ampiamente sotto-utilizzato; in ogni caso, essa fu comunque in grado di regalare alla storia le leggende dei primi “assi dell’aviazione”, come Francesco Baracca o il Barone Rosso.

Marco Mocchetti

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