Breve storia del Museo Fisogni attraverso le testimonianze di chi lo ha costruito
Il Museo Fisogni della stazione di servizio è esposto dal 2015 nell’attuale sede di Tradate, nello storico contesto di Villa Castiglioni, dimora ottocentesca costruita da un nobile garibaldino e diventata oggi, assieme alla collezione Fisogni, location di eventi aziendali e privati.
Il “Ragionier Fisogni” e la cava di sabbia
Non tutti sanno, però, che il Museo ha una storia ben più lunga, che risale ai primi anni ’60. Fu infatti nel 1961 che Guido Fisogni, all’epoca giovane imprenditore fondatore della futura Valseveso, ritrovò la sua prima pompa di benzina. Era un vecchio distributore Bergomi di epoca fascista abbandonato in una cava di sabbia.
Con grande gioia del proprietario della cava – che proprio non sapeva che farsene di quel rottame – Guido e i suoi due operai (“anzi, uno e mezzo, visto che uno, che pasteggiava con la grappa al posto dell’acqua, al pomeriggio era sempre sbronzo!”) caricarono la pompa nel loro furgoncino, dando inizio ad una raccolta senza precedenti, ancora oggi unica al mondo.
Nemmeno il signor Guido, all’epoca conosciuto da tutti come “il Ragionier Fisogni”, sa bene spiegare come sia nata questa passione. Semplicemente, ci dice, “quando trovavo delle vecchie pompe, invece di buttarle come facevano tutti, ne raccoglievo una per tipo e ho iniziato a collezionarle. Quelli elettrici li trovavo durante il lavoro, smantellando i vecchi impianti, quelli più vecchi andavo apposta a cercarli”. “A volte – aggiunge – mi chiedo anche io come ho fatto a mettere insieme tutte queste cose”.
Se in un primo tempo si occupava lui stesso di restaurare i pezzi più rovinati, le esigenze aziendali lo costrinsero ben presto ad occuparsi a tempo pieno del suo lavoro. Dall’operaio “e mezzo” del 1961, infatti, si passò rapidamente ai 110 dipendenti del 1970, rendendo necessaria una soluzione alternativa, con l’assunzione di un meccanico “specializzato solo nella revisione dei distributori”.
Il lavoro unico di Giuseppe Croce
“Nei primi anni” – spiega Guido con un velo di malinconia – “se ne occupava Alfredo Cattaneo”, venuto presto a mancare. Poi, per 20 anni, fu Giuseppe Croce a portare avanti questo compito, che lui stesso definiva, in un’intervista degli anni ‘90, “un lavoro unico al mondo”.
“Io sono nato nella benzina” – ci racconta oggi l’ormai pensionato Croce – “ho iniziato a lavorare a 13 anni in una ditta di Milano”. Viene da chiedersi se la passione di Guido fosse condivisa dal suo operaio di fiducia, che in effetti non sembra essere da meno del suo principale. “Con il signor Fisogni ero in sintonia, quello che pensavo io lo pensava anche lui. Il lavoro ovviamente mi piaceva, altrimenti avrei continuato a fare solo gli impianti e le mie riparazioni”.
Un processo lungo e faticoso, quello del restauro dei distributori (che arrivavano spesso “in condizioni pessime”). Soprattutto in un’epoca dove internet, oggi ricchissima miniera di informazioni per chi si accinge a questo lavoro, non esisteva, e dove anche il reperimento dei pezzi di ricambio diventava un’impresa!
“Quei distributori – prosegue Croce – erano tutta roba che vedevo da ragazzo. Per i restauri partivo dai miei ricordi, poi in certi casi si prendevano anche i disegni, soprattutto per quelli americani o inglesi. I pezzi di ricambio venivano fuori dai doppioni, ma quelli che non si potevano trovare li revisionavo tutti uno per uno. Spesso capitava di pensare «chissà se questo si può riparare», ma poi col tempo, provando pezzo per pezzo, si riusciva a rimontarli tutti. Man mano, con la pratica, diventava più facile, e io avevo già iniziato da piccolo con queste cose. Oggi tutti i distributori più vecchi sono funzionanti, non sono solo riverniciati”.
“Al Croce – aggiunge Guido Fisogni – avevo dato uno spazio tutto suo, con l’officina, gli attrezzi, tutto fatto nel modo migliore per facilitargli il lavoro”.
La collezione Fisogni, però, non è composta solo di distributori. Gadget, cartelli, attrezzi, e un foltissimo archivio, con documenti unici e introvabili, come la raccolta dei progetti Bergomi, ancora disegnati a china dai progettisti dell’azienda milanese.
La passione dell’ingegner Castruccio
Con il tempo, quindi, si rese urgente la necessità di dare un ordine alla collezione, catalogando i distributori più originali e riordinando, almeno in parte, la mole di foto, oggetti e documenti conservati al Museo, che tutt’oggi sono spesso consultati da studiosi e studenti.
“Di questo – spiega Guido – si occupava l’ingegner Castruccio. Non era un mio dipendente, me lo presentò un appassionato di modernariato che aveva un negozio. Lui era ingegnere, ma si occupava anche di argomenti storici”.
Il nome di Enrico Castruccio, anche lui figura fondamentale per lo sviluppo del Museo, può forse dire qualcosa agli appassionati di collezionismo, in quanto autore di alcuni libri sull’argomento.
Anche lui ricorda come, “presentato da altri”, abbia iniziato a collaborare con il Museo. La collaborazione andò avanti fino a quando, con il pensionamento di Fisogni e la cessione dell’azienda nel 2000, la collezione fu trasferita in un magazzino, ritrovando più tardi una nuova casa nell’attuale esposizione di Tradate.
“Per molto tempo – spiega Castruccio – mi sono dedicato alla storia delle cose. All’inizio facevo il mio lavoro da ingegnere, ma piano piano mi è venuta voglia di capire e studiare più a fondo come funzionano gli oggetti, e allo stesso tempo ho capito l’importanza di collezionarli. Si tratta della storia del lavoro del ‘900, che è fatta principalmente dalle cose. Così, da ingegnere, mi sono trasformato un giornalista specializzato, prima sul collezionismo e poi appunto sulla storia delle cose, che è fatta di costume, gusto, storia d’impresa e design. E per un periodo abbastanza lungo, mi sono dedicato al Museo di Guido Fisogni”, all’epoca situato, con l’azienda, a Palazzolo Milanese.
Non era un’attività semplice, “c’erano molti limiti e tante cose da fare, si andava per priorità. In questo lavoro emergono tante idee da sviluppare, ma spesso si è costretti a cambiare filone, anche perché a volte era difficile trovare i documenti” e le informazioni, ci spiega, andavano cercate altrove, “come la Biblioteca ENI di Melegnano”.
Un lavoro spesso difficile, dunque, che ha però portato grandi soddisfazioni. Dalla pubblicità all’azienda al Guinness World Record – assegnato nel 2000 per la collezione più completa al mondo – fino al recente recupero della villa di Tradate, che ospita la collezione.
Il Museo oggi
E oggi? Oggi l’attività del Museo prosegue grazie all’impegno del suo fondatore, di sua moglie Uberta, che ha aperto al pubblico le porte della villa della sua famiglia, e di suo figlio, Nicolò, che, pur vivendo lontano, condivide la passione del padre.
“Il Museo oggi è un luogo moderno e al passo con i tempi. Ci stiamo lanciando nel settore eventi, organizziamo raduni, e da tempo siamo attivi sui principali social. Il mio sogno però – aggiunge – è ingrandirci ancora di più, diventare un punto di riferimento internazionale. A questo proposito, abbiamo in progetto un’esposizione itinerante in Europa con i nostri distributori. E’ già tutto predisposto, abbiamo raccolto la disponibilità di musei e organizzatori! Quello che ci manca è uno sponsor che ci sostenga in quest’attività, che è sia culturale che promozionale”.
Una collezione, quella di Guido Fisogni, che è quindi frutto di anni di lavoro e passione, di tante esperienze che, lavorando in sinergia e trasferendosi alle nuove generazioni, hanno permesso di dare vita ad un’esposizione che ancora oggi lascia senza fiato sia i tanti appassionati che visitano il Museo, sia i manager delle varie compagnie che lo scelgono come location per i loro eventi.
Una storia che ha visto tanti cambiamenti, con la collezione che, dalla piccola esposizione messa in piedi dal 1966 a Palazzolo, si è gradualmente trasformata in un Museo vero e proprio, prima nell’ambito dell’azienda di famiglia e poi nello storico contesto di Villa Castiglioni a Tradate, dove continua ancora oggi.
Una vicenda fatta anche di tante curiosità e aneddoti, che lo stesso Guido Fisogni non manca di ricordare durante le visite. Dai benzinai col fucile nell’Albania dei primi anni ’90, Fisogni costruiva stazioni di servizio, al “cowboy” della Phillips 66 che fa l’occhiolino, ritrovato negli USA.
Un episodio inedito lo racconta invece Castruccio, che ricorda di quella volta in cui “il ragioniere” decise di inviare un libro ad un produttore d’olio. Non sapendo bene cosa scrivergli, fu proprio Castruccio a suggerire una simpatica introduzione alle lettera di accompagnamento: “Siccome entrambi ci occupiamo di olio…”.
Per chi abbia visitato il Museo, questa storiella non può non riportare alla mente un’altra vicenda raccontata da Fisogni ai turisti… Quella dell’Oleoblitz che, ai primi del ‘900, utilizzava latte d’olio motore molto simili a quelle di olio d’oliva, causando una gran confusione soprattutto tra i tanti analfabeti! “Dopo mal di pancia a non finire – spiega – decisero di adottare un marchio diverso, quello con le tre frecce che c’è ancora oggi”.
I pezzi più belli? Tutti e nessuno per Giuseppe Croce che, dopo averne restaurati così tanti, non sa sceglierne uno preferito. Quelli francesi per Enrico Castruccio, ancora oggi affascinato dal loro design elegante e dalle loro forme affusolate. Il primo pezzo per Guido Fisogni, quel Bergomi mezzo scassato (e oggi come nuovo) ritrovato in una cava di sabbia, a Paderno Dugnano, quasi 60 anni fa.
Marco Mocchetti
(articolo originale pubblicato su “Area di Servizio“)