Oggi la BP, acronimo del vecchio brand “British Petroleum”, è uno dei leader globali nella produzione petrolifera. Le sue origini sono però da ricercarsi in Iran, o come si diceva un tempo in Persia, dove la compagnia ebbe i suoi natali.
1901: le origini della Anglo-Persian
Nel maggio 1901 lo Scià Mozaffar al-Din Shah Qajar concesse il diritto di cercare il petrolio nel paese all’imprenditore anglo-australiano William Knox D’arcy.
Dopo aver esplorato il sud e il sud-ovest dell’Iran per 7 anni, fu finalmente scoperto il petrolio nella città di Masjed Soleiman.
La Anglo-Persian Oil Company (APOC) venne così fondata il 14 aprile 1909, come filiale della Burmah Oil Company, ed iniziò ad estrarre petrolio dal “pozzo numero 1”.
La neonata società stabilì anche una propria rete per distribuire i suoi prodotti in tutto l’Impero Britannico.
L’anno successivo fu costruito un oleodotto per collegare il giacimento alla città di Abadan, dove fu realizzata una raffineria, alla quale lavoravano operai provenienti dall’India britannica (indiani, birmani) e dalla Cina.
Nel 1912 la Anglo-Persian iniziò ad espandersi, fondando la Turkish Oil Company, di cui possedeva il 50% delle azioni, allo scopo di avere accesso al petrolio iracheno (all’epoca in territorio ottomano).
Prima Guerra Mondiale: l’APOC si espande e nasce la BP
Il marchio British Petroleum ebbe, inizialmente, una storia differente. La “BP” era infatti nata come sussidiaria inglese del trust tedesco Europäische Petroleum Union (EPU). Durante la Prima Guerra Mondiale, il governo britannico confiscò le proprietà della EPU, rivendendole alla Anglo-Persian.
Nel 1923 la Burmah Oil reclutò Winston Churchill come consulente, riuscendo ad ottenere dal governo inglese il monopolio della produzione petrolifera in Iran, tramite la Anglo-Persian.
Con l’aumento del numero delle automobili negli anni ’20, in Gran Bretagna furono costruite le prime stazioni di servizio a marchio BP. Il loro numero passò da 79 nel 1921 a 6.000 nel 1925. La benzina impiegata in questi impianti era ricavata dal petrolio greggio estratto dall’APOC nel sud dell’Iran.
Nel frattempo, nel 1925, la Turkish Oil riuscì ad ottenere il diritto di estrazione in Iraq (ormai nell’orbita britannica), iniziando lo sfruttamento del primo giacimento il 14 ottobre 1927. La Turkish Oil fu trasformata nella Iraq Oil Company, nella quale la partecipazione della Anglo-Persian era del 23,75%, assieme ad altre società petrolifere europee e statunitensi.
La Persia diventa Iran
Nel 1935 lo Scià Reżā Pahlavī ribattezzò Iran la vecchia Persia, portando quindi la APOC a cambiare nome in Anglo-Iranian Oil Company (AIOC). In questi anni si intensificò inoltre la collaborazione con la Shell.
Durante la seconda guerra mondiale, la raffineria di Abadan conobbe un nuovo sviluppo. Infatti, nonostante l’interruzione delle esportazioni verso il Regno Unito nel 1941, la compagnia si avvantaggiò dell’occupazione giapponese della Birmania e delle Indie olandesi, rimanendo l’unico fornitore petrolifero per l’Oceano Indiano. Lo stesso Churchill sfruttò le potenzialità della AIOC per sostenere lo sforzo bellico britannico sui vari fronti.
Dopo la guerra, la Anglo-Iranian iniziò una forte espansione in diversi paesi europei e in Nuova Zelanda, ma si ritrovò presto a fare i conti con l’emergere di tendenze nazionaliste.
La crisi di Abadan e la fine della Anglo-Iranian
In quel periodo, i dirigenti iraniani dell’AIOC, sostenuti dal primo ministro Haji Ali RazmaraI, approfittarono della situazione e fecero pressioni sul governo britannico affinché aumentasse la partecipazione dell’Iran nell’estrazione petrolifera. Razmaral era tuttavia contrario alla nazionalizzazione del settore, e la sua posizione – favorevole ad un accordo con la AIOC – era da molti ritenuta troppo moderata.
Nel marzo 1951 Razmaral fu assassinato, aprendo le porte al governo del nazionalista Mohammad Mossadeq.
Mossadeq ordinò quindi la nazionalizzazione della raffineria di Abadan e della stessa AIOC, che in aprile divenne la National Iranian Oil Company (NIOC). La ex Anglo-Iranian, ormai divenuta BP, evacuò il proprio personale ed avviò un duro boicottaggio dei prodotti petroliferi iraniani, danneggiando fortemente l’economia del Paese.
Il governo britannico, principale azionista della BP, citò in giudizio l’Iran alla Corte Internazionale dell’Aja, che diede però ragione a Teheran.
Le “Sette Sorelle” e l’Agip
Nel 1953, la situazione divenne insostenibile. Fu orchestrato un colpo di stato da parte della CIA (in chiave anti-sovietica) e dell’MI6, con il supporto dello Scià Mohammad Reza Pahlavi. Se il primo golpe fallì, portando alla fuga del sovrano in Italia, una seconda azione ebbe successo, determinando la destituzione di Mossadeq e un rafforzamento dei poteri dello Scià.
Dal punto di vista petrolifero, tuttavia, il monopolio della BP non fu ristabilito. Si decise infatti di creare il cosiddetto Consorzio per l’Iran, con la partecipazione di quelle che Enrico Mattei aveva definito “le Sette Sorelle” (BP, Shell, Esso, Mobil, Chevron, Gulf e Texaco), più la Total. Il Consorzio agiva nei fatti come un cartello, acquistando il petrolio dalla NIOC in regime di monopolio e rivendendolo sui mercati esteri. Alla BP era però riconosciuto un risarcimento per la nazionalizzazione.
L’Agip, di cui Mattei aveva chiesto la partecipazione, fu invece esclusa. Il manager italiano decise dunque di muoversi con maggiore autonomia, creando nel 1957 la Sirip (Société Irano-Italienne des Pétroles), che riconosceva all’Iran condizioni particolarmente favorevoli, attirandosi in questo modo l’inimicizia delle Sette Sorelle.
Ida Mofakhami e Marco Mocchetti