In viaggio nelle colonie

Oggi, si sa, viaggiare è diventato, almeno in parte, più facile. Con mezzi di trasporto veloci, abolizione delle dogane in Europa e documenti online, è possibile organizzare un viaggio all’estero in poco tempo.

In passato, le cose erano assai più complesse, e spesso gli spostamenti erano complicati anche all’interno dello stesso paese. In particolare, il presente articolo cerca di ricostruire come ci si spostava in automobile negli anni ’30, attraverso quelle che allora erano le colonie italiane: Libia, Somalia, Eritrea e Rodi.

È infatti l’ “Annuario dell’automobilista” dell’ACI 1930, conservato nell’archivio del Museo Fisogni, a raccogliere tutte le norme di circolazione tra i diversi paesi europei e i relativi possedimenti.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, anche i cittadini italiani “che intendono recarsi nelle Colonie devono essere muniti di lasciapassare per le Colonie”, della durata di un anno. Rilasciato dalla Prefettura o dalla Questura, per ottenerlo servivano carta bollata, marca da bollo da 5 lire e due fotografie. In alternativa, era possibile viaggiare con il passaporto, a patto di richiedere, anche in questo caso, un apposito visto. Analogo permesso era richiesto, viceversa, per i cittadini residenti nelle colonie che volessero tornare in Italia.

Più facile la trafila per le comitive (turistiche o scientifiche), cui veniva rilasciato un “permesso collettivo”.

Riassunti i documenti generali, approfondiamo ora come si svolgeva l’importazione e la circolazione di veicoli.

Per la Libia (all’epoca divisa in Tripolitania e Cirenaica), se l’importazione dell’automobile era definitiva si era soggetti ad un dazio doganale pari al 5% del valore (se la macchina proveniva dall’estero, la tassa schizzava al 45%). Per le motociclette il dazio era leggermente superiore, pari all’8% (il 25% se importato dall’estero).

Dal 1927, tuttavia, furono introdotte facilitazioni per le automobili ad uso domestico appartenenti a cittadini italiani che si traferivano a vivere in Nordafrica, che furono esentati da ogni pagamento.

Più semplice, se vogliamo, l’importazione di veicoli temporanea, gratuita per i primi 6 mesi. Unica limitazione, la benzina: se l’auto proveniva via terra dalla Tunisia (all’epoca colonia francese), poteva mantenere la benzina già contenuta a bordo; se arrivava via mare, invece, “deve avere il serbatoio vuoto”.

Riguardo ai costi di trasporto via nave, il viaggio da Genova a Tripoli costava 781 lire (fino a 1 quintale di peso), da Siracusa a Tripoli 434,50 lire, da Siracusa a Begnasi 500 lire, più eventuali spese di messa in sicurezza.

La circolazione non aveva particolari vincoli, l’unico limite di velocità, di 15 km/h, esisteva nella sola città di Tripoli. Vigeva comunque una tassa di circolazione di 300 lire l’anno, fortemente scontata per i veicoli importati temporaneamente.

Anche l’ACI aveva una sede nella colonia, a Tripoli, dove gli automobilisti potevano “frequentare i saloni del Circolo, le sale da giuoco e di lettura e il bar”.

Regole diverse, invece, per l’Eritrea; qui l’importazione anche temporanea di un veicolo richiedeva il versamento del dazio doganale (3% del valore dell’auto, 8% se proveniente dall’estero).

La circolazione stradale era, nella colonia italiana più antica, decisamente più formalizzata che in Nordafrica: le prime norme risalivano al 1912, aggiornate poi nel 1925. In particolar modo, in Eritrea come in Italia la circolazione avveniva sulla destra, esistevano limiti di velocità segnalati da appositi cartelli ed era obbligatorio essere muniti di clacson e fari, nonché di “apparecchi atti ad evitare l’eccessivo rumore e le esalazioni moleste”. La tassa di circolazione della colonia non era fissa, ma variava a seconda della tipologia di veicolo, come in Italia.

Regole ancora diverse vigevano nella vicina Somalia, dove l’importazione temporanea dei veicoli era regolata dalle stesse norme in uso in Italia; per il passaggio definitivo delle auto, invece, il dazio era pari al 5% del valore (10% se dall’estero). Anche qui, la circolazione era regolamentata da tempo, da una legge del 1921; recenti invece le aperture di nuove strade, per un totale di oltre 2000 km, terminate nel 1929. I veicoli necessitavano di una licenza di circolazione (554 lire per le auto, 191 per le motociclette), che veniva rinnovata annualmente con un’apposita tassa (500 lire le auto, 150 le moto). Come in Eritrea, il veicolo doveva essere dotato di fari, silenziatore, pneumatici e clacson; la velocità massima nei centri abitati era di 15 km/h.

Ultimo possedimento in esame, le Isole Egee, ovvero Rodi e dintorni. Nella piccola colonia greca, l’importazione definitiva del veicolo comportava un’imposta doganale pari all’11% del valore (per tutti i veicoli, dall’Italia o dall’estero), mentre l’ingresso temporaneo era gratuito dietro cauzione. Proprio a Rodi, poi, era presente un ufficio dell’ACI, che garantiva agli automobilisti diversi servizi e agevolazioni. Come per l’Africa orientale, i costi di trasporto via mare dall’Italia variavano in base allo spazio occupato dalla vettura, più ulteriori 107 lire spese di sbarco. Più economico l’imbarco per il rimpatrio, di sole 47 lire.

Marco Mocchetti

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