Quando AGIP e Petrolea si contendevano un distributore nel pavese
A molti, probabilmente, il nome “Petrolea” risulterà ignoto e sconosciuto; ad alcuni, tuttavia, potrebbe richiamare un marchio un tempo noto, ormai dimenticato.
Ben pochi sanno, in effetti, che la Petrolea era una compagnia petrolifera italiana, nata negli anni ’20, che fu per anni uno dei principali rivali dell’AGIP.
L’Agip e l’URSS
Ma andiamo con ordine: l’AGIP, alla sua nascita, aveva ereditato dalla vecchia SNOM (Società Nazionale Olii Minerali) l’esclusiva per la vendita dei prodotti petroliferi provenienti dall’Unione Sovietica (in primis, la benzina Victoria), ed era del tutto intenzionata ad impedire ai russi di operare autonomamente nel mercato italiano.
I sovietici, tuttavia, erano insoddisfatti della limitata rete di distribuzione della SNOM, e guardavano con interesse a possibili alternative per estendere il loro commercio in Italia; nel 1926 gli accordi tra il Sindacato della Nafta, responsabile della politica petrolifera dell’URSS, e l’AGIP vennero rivisti, lasciando ad entrambe le parti una maggiore libertà nella scelta dei partner commerciali, vietando tuttavia ai sovietici la costituzione di una propria società in Italia (come invece avevano fatto le grandi compagnie americane, come la Esso, presente con la Società italo-americana pel petrolio, o la Shell, con la Società Nafta).
Nasce la Petrolea
I russi, tuttavia, aggirarono l’accordo, dando vita nel 1927 alla società Petrolea, sostenuta, tra gli altri, dalla Fiat e dall’ACI. Tra i prodotti di punta della nuova compagnia, la benzina Baku, di origine sovietica, che andava a fare diretta concorrenza ai prodotti dell’AGIP, che continuava comunque a rifornirsi del petrolio di Mosca.
I legami dell’AGIP con l’URSS, del resto, indispettivano non poco anche i concorrenti americani, preoccupati che la compagnia italiana, con quella linea di rifornimenti privilegiata, andasse a danneggiare i loro affari.
La rivalità tra AGIP e Petrolea continuò dunque per tutti gli anni ’30, anche dopo che, nel 1935, la società filo-russa fu rilevata dalla Fiat, che sviluppò così una propria rete di vendita di carburanti.
Tutti vogliono Chignolo Po
Una concorrenza diretta e vivace, sia a livello nazionale che locale, che si ritrova anche in alcuni documenti conservati nell’archivio del Museo Fisogni.
Sede del conflitto, questa volta molto localizzato, è il paesino di Chignolo Po, in provincia di Pavia; l’anno, il 1940.
Sebbene fosse solo un borgo di circa 4500 anime, verso la metà degli anni ’30 risultavano attivi nel comune ben tre stazioni di servizio: una, sita in via Roma (oggi via XXV Aprile), aperta dalla SAS (Società Anonima Supercarburante) nel 1935, una in via Garibaldi, gestita dall’AGIP dal 1929, e un’altra, poco lontano, appartenente alla Standard (l’attuale Esso).
Il primo impianto passò nelle mani della Petrolea alla fine del decennio, quando la compagnia acquisì la SAS e la sua rete di distribuzione. Forse per dare fastidio all’AGIP, o forse semplicemente per trasferirsi in una zona più redditizia, la compagnia chiese, nel settembre 1939 (meno di un mese dopo l’invasione tedesca della Polonia, quando l’Italia era ancora neutrale), di trasferire il distributore proprio in via Garibaldi, dove già era attivo, guarda caso allo stesso numero civico, lo stabilimento della concorrenza.
Questo trasloco non s’ha da fare!
Se il Corpo Provinciale dei Vigili del Fuoco diede parere favorevole al nuovo impianto, il Podestà locale sembrava invece nutrire alcuni dubbi in merito.
Prima di rilasciare una nuova licenza, spiegava al Prefetto nel febbraio 1940, “parrebbe opportuno che fosse [prima] revocata la concessione precedente” fatta all’AGIP. Del resto, proseguiva il funzionario, “l’A.G.I.P. non fornisce più benzina al gestore da oltre un anno e […] ripetutamente ha dichiarato di non voler più far uso della concessione”.
Stando così le cose, in effetti, la situazione appariva semplice. L’AGIP disponeva di un distributore di cui si era ormai disinteressata, e la Petrolea pareva intenzionata a sostituire la vecchia gestione, con la costruzione di un nuovo impianto nelle immediate vicinanze.
Informata dell’interesse di un’altra società da parte del Prefetto, che chiedeva alla compagnia se intendesse rinunciare o meno alla concessione, inizialmente l’AGIP non si occupò della questione, lasciando la Prefettura senza risposta. Fu solo l’11 maggio, a meno di un mese dall’imminente intervento italiano in guerra, che la compagnia si decise a rispondere. Forse perché aveva saputo che ad interessarsi al proprio impianto era proprio la rivale di sempre, la Petrolea, forse per rafforzare la propria rete in previsione dell’ingresso in guerra, o forse per un semplice disguido postale (dato che, spiegava il direttore della filiale di Milano, “nessuna richiesta è giunta […] relativa alla conservazione della concessione”), fatto sta che l’AGIP cambiò totalmente la propria linea. Se prima, stando alle parole del Podestà, la compagnia sembrava intenzionata a mollare l’impianto, ora “dichiara di non avere nessun intendimento di rinunciare alla concessione […] e di mantenere in esercizio il proprio distributore”.
Guerra per corrispondenza
Tuttavia, a fine mese, il Podestà notava come “A.G.I.P. non ha a tutt’oggi provveduto alla messa in efficienza del distributore automatico di benzina”, che del resto risultava inattivo già nel corso del 1938, mettendo quindi in dubbio la buona fede dell’azienda.
Il 22 giugno, a guerra scoppiata, l’AGIP giustificò la propria condotta, adducendo i ritardi alle “difficoltà dei rifornimento di carburante date le attuali circostanze”. Una giustificazione, verrebbe da dire, più che fondata nel giugno 1940, ma che non spiegava appieno perché l’impianto fosse rimasto inattivo nei due anni precedenti e perché l’azienda, dopo l’iniziale disimpegno, si fosse mostrata improvvisamente interessata a ripristinare la propria posizione a Chignolo Po, minacciata dalla Petrolea.
In ogni caso, il Podestà non mollò la presa. Ancora a luglio segnalò alla Prefettura che il benzinaio era tristemente inattivo, e in agosto il Prefetto incaricò addirittura i Carabinieri di accertarsi “da quanto tempo la suddetta società tiene chiuso il distributore”.
In settembre, arrivò l’ultimatum: il Prefetto concedeva un mese di tempo alla compagnia per rimettere in funzione la stazione di servizio, “trascorso il quale – ove il distributore suddetto non sia stato rimesso in efficienza […] [ – si delibera] la decadenza della concessione, anche per la considerazione che altra società ha richiesto, nella stessa località, l’installazione di un distributore”. In sostanza, o l’AGIP dimostrava di essere realmente interessata all’attività, oppure la concessione sarebbe passata alla storica rivale, la Petrolea. Uno smacco, benché piccolo e locale, che la compagnia non sembrava intenzionata ad accettare.
Per la verità, la risposta dell’AGIP non fu velocissima. Il 26 ottobre, evidentemente stufo della questione (e forse pressato da altri?), il Prefetto pose un limite chiaro. In una nota segnata come “urgente”, venne fissato il 5 novembre come data ultima per rimettere in funzione il distributore, dopodiché la palla sarebbe passata alla Petrolea.
L’Agip riapre… ma senza benzina!
Finalmente, il 6 novembre la compagnia informò che “il distributore di Chignolo Po è stato riaperto ed è in perfetta efficienza meccanica”. Ancora, però, le pompe erano a secco: “non è stato possibile rifornirlo di benzina in quanto le nostre disponibilità non ce lo hanno permesso. Ad ogni modo non appena saremo in grado di destinare un po’ di benzina per questo distributore, sarà senz’altro fatto”. In pratica, il distributore era aperto, ma non distribuiva nulla. L’AGIP, evidentemente, aveva altre priorità e così facendo confermava il proprio disinteresse per il piccolo impianto di provincia, ma piuttosto che cederlo alla Petrolea preferiva tenerlo attivo.
Il 9 novembre, in realtà, la compagnia si rese conto che già il 22 ottobre erano arrivati i primi 1000 litri di benzina, “la quale ci risulta essere stata regolarmente venduta al pubblico”, e non esitò a informarne il Prefetto.
Salvata la faccia (e la concessione!), tuttavia, la situazione tornò ben presto quella di sempre. Se la benzina del 22 ottobre era andata a ruba, “attualmente il distributore è di nuovo chiuso, per mancanza di carburante”. “Ma Vi assicuriamo [ – aggiungeva l’AGIP – ] che non appena saremo in grado di provvedere ad un nuovo rifornimento, sarà senz’altro fatto”.
Distributore chiuso, quindi, ma per cause di forza maggiore.
Agip 1 – Petrolea 0
Caduta la possibilità di sostituire la gestione AGIP, al Podestà non rimase che rifiutare la richiesta della Petrolea.
Infatti, scriveva il Primo Cittadino alla società, la compagnia rivale “ha fatto funzionare, quando gli fu possibile”, l’impianto di via Garibaldi. “Di più, vicinissimo a questa località, esiste un altro distributore, ora chiuso perché di una società Italo-Americana: la Standard, ma che domani potrebbe essere messo nuovamente in funzione”. Impensabile, dunque, avere tre distributori nella stessa località (sebbene uno fosse chiuso per motivi politici e l’altro aperto ma privo di carburante). “In Via Roma invece […] non esistono altri apparecchi”, e sembrava quindi più equo che a servire la zona fosse la Petrolea, che si vide costretta ad incassare la sconfitta.
Anche in un contesto così periferico, quindi, è possibile rintracciare quella rivalità che aveva condizionato la vita delle due compagnie nel corso del decennio appena trascorso. Pur tra le difficoltà del conflitto, che aveva causato la chiusura degli impianti stranieri e che metteva a serio rischio le riserve di carburante del Paese, il duello andava avanti, con la Petrolea che chiedeva di trasferirsi, non a caso, in corrispondenza di un impianto semi abbandonato dell’AGIP, la quale, pur di non cedere al concorrente, si decideva a riaprire un’attività per la quale, fino a quel momento, si era dimostrata totalmente disinteressata.
Una battaglia senza esclusione di colpi, che avrebbe però visto l’AGIP, rilanciata da Mattei dopo la guerra, come unica vincitrice, mentre la memoria della Petrolea, ormai acquistata dalla Fiat, si sarebbe via via offuscata nel tempo, conservatasi solo in qualche pubblicazione di settore e, ovviamente, nei pezzi del Museo Fisogni.
Marco Mocchetti