“Le persone sono interessate alle vecchie stazioni di servizio, credo, perché ti permettono di tornare alla tua infanzia e giovinezza”, afferma Morten Reiten.
Reiten lavora come consulente presso il Norwegian Road Museum di Hunderfossen, vicino a Lillehammer, ed è tra coloro che conoscono meglio la storia delle stazioni di servizio norvegesi, con particolare attenzione al periodo 1950-1970. Sta lavorando ad un articolo accademico su come i benzinai del paese, nel dopoguerra, siano diventati sinonimo di marchi colorati e servizio completo.
“Le vecchie stazioni di servizio provocano nostalgia a molte persone, soprattutto a chi era giovane negli anni ’60 e ‘70. Ricordano l’impianto del villaggio o della città in cui sono cresciuti; spesso era il luogo in cui si incontravano le altre persone”, racconta.
Ripristinare l’antico splendore
Alcuni musei norvegesi, associazioni locali di appassionati e privati stanno ristrutturando le vecchie stazioni di servizio del paese.
Se ne trovano, tra gli altri, a Nøtterøy, a Kvinesdal, a Kongsberg, a Bergen, a Folldalen e a Fagernes. Esiste anche un gruppo Facebook (Gamle Norske Bensinstasjoner, ossia “vecchie stazioni di servizio norvegesi”) con più di 8.000 membri.
Reiten afferma che sono ormai passati 100 anni da quando, intorno al 1920, sono apparse in Norvegia le primissime stazioni di servizio.
Fino al dopoguerra, le strutture potevano essere molto diverse; alcune tra le più vecchie, realizzate negli anni ’20, erano dei veri e propri templi greci, splendidamente progettati e disegnati. Negli anni ’30, invece, furono costruiti diversi impianti con un’architettura bella e moderna, funzionale, con angoli arrotondati e un’illuminazione efficiente.
Altre postazioni ancora erano costituite semplicemente da una disordinata pompa di benzina, collocata in un cortile.
L’America arriva in Norvegia
Poi accadde qualcosa intorno al 1950.
“Negli anni ’50, i norvegesi per la prima volta acquisirono familiarità con i marchi internazionali. Ancor prima di Coca-Cola e Paperino, furono Shell, Esso e BP a diventare marchi riconosciuti dalla gente”, afferma Reiten.
“Si trattava di qualcosa di completamente nuovo per i consumatori”.
I loghi e i colori delle stazioni e le divise del personale ora avevano un design molto studiato e deliberato; il posizionamento dei prodotti petroliferi, dei ricambi e delle scatole di candele all’interno della stazione era meticolosamente pianificato.
Se entravi in una stazione di servizio in Norvegia negli anni ’50 e ’60, incontravi dipendenti sorridenti e disponibili che offrivano servizi attentamente studiati e ampiamente collaudati.
“Anche questo era qualcosa di completamente nuovo per i consumatori norvegesi. In precedenza, erano abituati a dover chiedere espressamente agli addetti per i propri acquisti, sia che si trattasse di beni che di servizi”, spiega Reiten.
Le compagnie petrolifere, invece, gareggiavano per offrire il servizio migliore. Senza che qualcuno glielo chiedesse espressamente, il personale della stazione controllava i fari, l’olio motore e i tergicristalli. L’obiettivo di fondo, ovviamente, era riuscire a vendere qualcosa agli automobilisti.
“Questa era l’America che arrivò in Norvegia”, dice Reiten.
La professionalizzazione dei dipendenti
Reiten ha inoltre studiato la comunicazione interna e le strategie delle diverse compagnie petrolifere.
“La tattica era in parte quella di dimostrare che l’azienda era amica dell’automobilista e si preoccupava sia dell’autista che della sua auto. Le aziende facevano leva anche sui timori che potesse accadere qualcosa di brutto durante il viaggio, come eventuali problemi tecnici” spiega.
Reiten afferma che nulla nelle stazioni di servizio era lasciato al caso. La battaglia per accaparrarsi gli automobilisti era accesa, quasi feroce.
“Un’azienda come Esso costruì appositamente un edificio per la formazione e tenne corsi a centinaia di dipendenti per settimane, per insegnare loro a razionalizzare la propria attività. Nel periodo dal 1950 al 1970, ci fu un’enorme professionalizzazione tra i dipendenti delle stazioni di servizio norvegesi”, ha affermato.
Poi arrivarono le sedie da campeggio
A partire dal 1950 circa, sempre più prodotti iniziarono a farsi strada nelle stazioni di servizio.
La commercializzazione di questi oggetti prevedeva un design d’impatto, sia che si trattasse di lampadine o di batterie per auto. La maggior parte dei prodotti offerti, ovviamente, erano legati all’automobile.
“Tutto ciò di cui un’auto aveva bisogno quotidianamente era ora in vendita presso la stazione di servizio”, afferma Reiten.
Poco dopo, negli anni ’60, all’interno della stazione si trovavano comunemente anche prodotti destinati alle famiglie, non necessariamente legate ai motori. Innanzitutto, i clienti potevano acquistare ciò di cui avevano bisogno per le vacanze e il tempo libero; tra le altre cose, fornelli e sedie da campeggio e perfino coperte di lana.
La BP fu la prima a introdurre il proprio “Autoshop”. Poi seguì la Mobil con i suoi “Minimart”.
Negli anni ’70, le stazioni di servizio offrivano una varietà di articoli sempre maggiore.
Questa “incursione” dei beni di largo consumo iniziò con una certa cautela; inizialmente, magari, si trattava di un bancone per i gelati o per la vendita di bibite. Poi arrivarono la cioccolata, i pacchetti di biscotti, le riviste… e tutto il resto!
In conseguenza di questo, le stazioni di servizio diventarono più grandi.
Negli anni ’50, 40 metri quadrati erano considerati la dimensione ideale per la struttura di una stazione. Presto l’area sarebbe raddoppiata.
Nulla era lasciato al caso
A Hunderfossen, un po’ a nord di Lillehammer, il Norwegian Road Museum ha ricostruito una stazione della Mobil, che i residenti più anziani ricordano attiva nel centro della città fino alla metà degli anni ’60.
Il museo presenta l’impianto come appariva all’epoca.
La stazione apparteneva ad un privato che se ne prendeva cura a Nordseter, appena fuori città. Rilevata dal Museo, la struttura è stata trasportata a Hunderfossen di notte. Ci sono voluti due anni di lavori di restauro prima che fosse pronta per essere esposta.
La stazione Mobil è un ottimo esempio di come tutto fosse estremamente pianificato; nulla, infatti, era lasciato al caso, e tutto era fatto in modo studiato e funzionale.
Forse è anche per questo che molte persone pensano che queste prime stazioni di servizio siano così divertenti da guardare, e che vadano preservate.
Costruire la fedeltà al marchio
Se hai una certa età, forse ricorderai che tuo padre (perché quasi sicuramente era lui) riempiva spesso l’auto di benzina della stessa marca.
In Norvegia, probabilmente si trattava di Shell, Esso, Mobil o BP. O forse Fina, Caltex o Amoco.
Lo scopo di un marketing così ben pianificato era proprio quello di creare clienti fedeli che tornassero più e più volte nelle stesse stazioni.
È una tattica di marketing chiamata fedeltà alla marca.
Le compagnie petrolifere non esitarono a coinvolgere perfino i più piccoli nella loro battaglia per i clienti. Se eri un bambino negli anni ’60 o ’70, probabilmente ricorderai i piccoli “regali” che potevi ricevere alla stazione di servizio dove tuo padre faceva benzina. In Norvegia come in Italia, questi erano spesso oggetti da collezione in plastica o in metallo, come le popolari monete “spaziali” della fine degli anni ’60, il periodo delle mitiche missioni Apollo.
Le stazioni di servizio diventano minimarket
Molte persone che ricordano il periodo di massimo splendore dei benzinai spesso rimpiangono la scomparsa di questo recente passato.
In Norvegia, oggi le stazioni di servizio sono diventate minimarket. Le vendite di bibite e hamburger sono importanti quanto quelle dei prodotti per l’auto e della benzina.
Sono cambiati perfino i dipendenti del negozio; questi sono molto ben informati sugli hot dog e sui loro diversi condimenti, ma se hai bisogno di olio motore, lampadine e tergicristalli, devi sapere cosa fare da solo!
Altrimenti, dovrai rivolgerti a un’autofficina…
Bård Amundsen