Dalla pelle di daino alle spazzole! Storia dell’autolavaggio

Le stazioni di servizio, si sa, offrono spesso una gamma completa di prestazioni per l’automobilista. Oggi come nel passato, oltre al rifornimento troviamo la lubrificazione, il gonfiaggio degli pneumatici, il controllo dell’olio… e, ovviamente, l’ autolavaggio! Ma com’è nata questa pratica? Scopriamolo assieme!

Le “gas stations” degli anni ‘20

Fin dagli anni ’20, con lo sviluppo delle “gas stations” americane, il lavaggio era uno dei servizi fondamentali offerti dai gestori.

Lo spiega bene nel 1931 la rivista del Touring “Le Vie d’Italia”. La pulizia dell’auto – racconta l’articolo – era un aspetto indispensabile per “il «farmer», colla sua vetturetta sporca e mezzo rovinata” che il gestore si apprestava a rimettere a nuovo. “Il «capo-stazione» gli si presenta con un «bloc-notes» in mano, come usano i «maîtres» nei ristoranti di lusso […] e segna quale «hors-d’oeuvre» d’obbligo: lavaggio. (In italiano sarebbe meglio dire «lavatura» ma quel francesismo si è imposto in questo come in altri campi industriali)”. Tralasciando le dispute linguistiche, si nota subito che il lavaggio non era solo una componente immancabile dei servizi offerti all’epoca, ma addirittura una delle principali, venendo annotata dal gestore come prima cosa!

Lavare e… asciugare!

Ma come avveniva, all’epoca, il lavaggio delle auto? Oggi le modalità di lavoro delle stazioni di quel tempo ci paiono arretrate, spesso artigianali (si pensi che l’olio motore era conservato in bottiglie di vetro simili a quelle del latte!), e anche il lavaggio non faceva eccezione. Esso “è un’operazione meno semplice di quel che si crede”; “fatta senza criterio, può recare danni notevoli”.

Nemica numero uno per il lavaggista, infatti, era la ruggine. In un’epoca in cui le automobili erano interamente di metallo, talvolta nemmeno trattato “coi recenti processi di inossidazione e cromazione”, un passaggio fondamentale era l’asciugatura. “Bisogna dunque saper lavare bene ed asciugare meglio”.

Corridoi e tapis-roulant

Inutile dire che il lavoro era perlopiù manuale. Negli USA, tuttavia, già si sperimentava “una specie di corridoio tutto di cemento, sul cui pavimento scorre un «tapis-roulant» […] che fa avanzare [le auto], ad una ad una, sino nella nicchia centrale. Quivi un inserviente, riparato dietro una finestra […], mette in azione tutti i getti d’acqua […].  A doccia dall’alto se la vettura è chiusa, a zampilli dal disotto, e di fianco da tutte le altezze, in tutte le direzioni, con tutte le pressioni. Le vetture avanzando nel corridoio incontrano potenti getti d’aria calda che ne affrettano l’asciugamento”. Alla fine del processo, “squadre di operai” terminano le operazioni di pulizia e lucidatura. Insomma, già nei primi anni ’30 si trovavano gli antesignani dei moderni autolavaggi!

Perlomeno, nelle stazioni di servizio “di grande traffico. In quelle normali occorre assai poco”, e il lavoro era più semplice e manuale. Bastava infatti avere una piattaforma in cemento con un foro di scolo, tutt’al più un elevatore.

Altro aspetto da tenere in considerazione era la pressione dell’acqua. “Troppo violenta può nuocere alla lucentezza delle vernici, troppo debole [può] riuscire inefficace per distaccare il fango secco”, vera piaga per le automobili del tempo, vista la relativa rarità di strade asfaltate. Per poter sfruttare al meglio l’elemento pressione, le stazioni americane avevano a disposizione “apposite «lance» regolabili” manualmente, per potere impostare di volta in volta il getto adeguato alla vettura e al lavaggio.

Nelle stazioni di servizio secondarie, prive cioè del “corridoio di cemento” sopra descritto, l’asciugatura avveniva prevalentemente a mano, con l’utilizzo di spugne e pelle scamosciata. Per strizzare il panno, veniva utilizzato un piccolo mangano manuale a due cilindri, come ancora oggi ne troviamo in alcuni impianti. Un “piccolo accessorio” ma “di grande praticità”.

Pulizia degli interni e del… motore?

Altro servizio offerto all’epoca era il “lavaggio del motore”. Superato il vecchio sistema di “pulirlo con un pennello imbevuto di petrolio”, veniva invece utilizzata una pratica “pistola vaporizzatrice di petrolio”.

Ultima componente, infine, la pulizia degli interni. Strano a credersi, ma già nel 1931 la gran parte delle stazioni di servizio americane era dotata di “aspiratore della polvere”. Con esso, tutte “le parti interne della vettura, cuscini, tappeti, tendine, soffietto, vengono […] ripulite come meglio non si potrebbe”.

I “tunnel” italiani

Se questo articolo del 1931 rispecchiava la situazione oltreoceano, le innovazioni non tardarono ad arrivare anche in Europa, nel campo del lavaggio e non solo. Nel 1930, infatti, aprì a Milano la prima stazione di servizio moderna in Italia, e il modello iniziò a diffondersi rapidamente.

Su “L’autoaccessorio” del marzo 1939 compare un lungo articolo sull’ultimo ritrovato della torinese Emanuel, che aveva da poco “ceduto ad una casa inglese la licenza di fabbricazione dei propri tunnel di lavaggio” e concluso importanti accordi in Svizzera con Ford e General Motors.

In passato, spiega la rivista, “il lavaggio veniva effettuato semplicemente, innaffiando la vettura con un getto di acqua potabile a bassa pressione”. Poi arrivarono dall’America i ponti sollevatori, che permettevano la pulizia e il grassaggio anche della parte sottostante della vettura, e tale sistema era ritenuto “fino ad oggi il […] più razionale per raggiungere bene e presto lo scopo”.

Con l’arrivo “delle vetture a ruote indipendenti e super-abbassate”, tuttavia, il sollevamento delle auto era diventato più complesso. Si passò così al sistema del “tunnel di lavaggio a getti fissi”, quello in uso in America già nei primi anni ’30, che aveva permesso di facilitare le cose.

Un ulteriore passo avanti furono i getti mobili introdotti nel “tunnel” della Emanuel, oggetto dell’articolo, che permettevano un minore consumo di acqua. Questo sistema era costituito da una cabina in lamiera o in muratura, munita di apposita intelaiatura dove erano disposti gli ugelli, suddivisi in gruppi di lavaggio autonomi regolati dal personale. Il movimento della vettura nel tunnel era poi gestito tramite un sistema di catene comandate da un motoriduttore.

Il “tunnel” della Emanuel

A differenza dei sistemi americani, l’asciugatura dell’auto avveniva all’uscita del tunnel, ad opera del personale addetto. Talvolta, la cabina di lavaggio era “montata in linea a tutti gli altri servizi di cui necessita l’automobile, dimodoché questa, sempre trascinata dalla catena, viene sottoposta all’operazione di grassaggio, rifornimento, ecc. e alla fine sganciata e consegnata al cliente”.

I servizi in “linea”: lavaggio, grassaggio e rifornimento

Il dopoguerra e gli “impianti centralizzati”

Nonostante queste innovazioni, forse complice la guerra, il lavaggio manuale delle auto sopravvisse ancora a lungo. Bisogna inoltre considerare che per un tunnel completo, con lavaggio, grassaggio, ecc., erano necessari spazi che non tutti gli impianti avevano a disposizione! Anche nella moderna stazione di servizio milanese de “L’Autoaccessorio”, allestita negli anni ’50, il lavaggio delle vetture appare ancora manuale, effettuato dall’operatore in un apposito locale. Nello stesso spazio, avveniva anche la lubrificazione del veicolo.

Proprio per questo stretto legame tra le operazioni di pulizia esterna e oliatura dei componenti meccanici, sempre la Emanuel ideò, nel dopoguerra, i cosiddetti “impianti centralizzati di lavaggio e grassaggio”. Una “soluzione indovinatissima” che permetteva di “concentrare in un unico mobile tutti gli attrezzi necessari” per le operazioni di lavaggio, asciugatura, lubrificazione e rifornimento dell’olio. L’attrezzo, presso il quale erano facilmente accessibili tutti gli strumenti, dotati di cavo arrotolabile con riavvolgimento automatico, permetteva di risparmiare tempo e spazio, garantendo un servizio migliore e più efficiente.

Sempre negli anni ’50 e ’60, la Emanuel mise in commercio un altro prodotto innovativo, il gruppo mobile per il lavaggio. Questa macchina compatta “occupa uno spazio ridottissimo”, “non richiede personale particolarmente addestrato”, poteva essere impiegato anche all’aperto e addirittura, se “munito di gettoniera”, poteva fungere da self-service. Uno strumento, insomma, alla portata di tutti, ideale anche per gli impianti più piccoli, le officine, e perfino le autorimesse private!

Nascita dei moderni lavaggi

Proprio in questi anni, iniziarono a diffondersi anche autolavaggi di nuova generazione, compatti ed efficienti. Alcuni erano dotati delle prime spazzole automatiche, e permettevano di risparmiare spazio e di lavorare più velocemente. Uno di essi è conservato proprio al Museo Fisogni, e il suo funzionamento ci è spiegato da Guido in persona:

“Questo lavaggio è del dopoguerra, degli anni ’50. L’ho trovato in un impianto, era buttato là in mezzo al rottame e l’ho recuperato. Come si vede era molto piccolo, perché le automobili di allora erano più basse di quelle di oggi. La macchina veniva piazzata sotto al lavaggio. Il gestore riempiva due appositi cilindri col sapone, che veniva spruzzato dagli ugelli sovrastanti, mentre l’acqua usciva dai due bracci rotanti laterali.

Autolavaggio anni ’50 conservato al Museo Fisogni

Il gestore lo muoveva avanti e indietro su dei binari, e poi strofinava a mano, perché non c’erano le spazzole che si usano oggi. Dall’alto e ai lati, infine, usciva l’aria compressa per l’asciugatura.

 La macchina veniva lavata in poco tempo, e infatti lo slogan pubblicitario diceva «Il tempo di fumare una sigaretta, e l’automobile è lavata». Oggi sarebbe impensabile una pubblicità così”.

Marco Mocchetti (articolo originale su Area di Servizio)

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